In questo grande penitenziario alla periferia della città, riservato agli ergastolani, c'è una regola in apparenza umana, in realtà più che crudele. A ciascuno di noi, condannati a vita, è consentito per una volta di presentarsi in pubblico e di parlare alla cittadinanza per mezz'ora. Il detenuto tratto dalla cella, viene condotto su un balcone dell'edificio esterno, dove sono la direzione e gli uffici. Dinanzi si stende la vasta piazza della Trinità e qui si raccoglie la folla ad ascoltare. Se alla fine del discorso la folla applaude, l'egastolano è liberato. Puo' sembrare una indulgenza eccezionale. Ma non é. Prima di tutto la facoltà di appellarsi al pubblico è concessa una volta sola, vale a dire una sola volta nella vita. In secondo luogo, se la folla risponde di no - come quasi sempre avviene - la condanna ne resta in certo senso convalidata dalla popolazione stessa e pesa ancor di più sull'animo del detenuto; per cui, dopo, i giorni di espiazione diventano ancor più tetri e amari. C'é poi un'altra circostanza che trasforma questa speranza in un tormento. Il prigioniero infatti non sa quando gli sarà consentito di parlare. La decisione in proposito è affidata al direttore del penitenziario. Puo' darsi che l'uomo sia condotto sul balcone anche dopo mezz'ora essere giunto al carcere. Ma non é escluso che lo si faccia aspettare lunghi anni. Qualcuno, entrato in galera giovanissimo, fu condotto al fatidico balcone ch'era già vecchio cadente e quasi incapace di parlere. La preparazione quindi non puo' essere fatta con la calma necessaria ad una cosi difficile prova. Uno pensa: forse mi chiamano domani, forse stasera, forse fra un'ora. Nasce l'affanno e nell'affanno i progetti si accavallano, le più disparate idee ingarbugliandosi in un nevrastenico groviglio. Né giova il poterne parlare coi compagni di pena, nella troppo breve ora della passeggiata quotidiana. In genere, non esiste alcuna confidenza reciproca su quello che dovrebbe essere l'argomento principe degli incontri della nostra sventurata comunità. In genere, ciascuno si illude di avere scoperto il gran segreto, l'argomento irresistibile con cui schiodare l'avaro cuore della folla. E teme di rivelarlo agli altri per non essere preceduto: logico infatti che la gente, lasciatasi commuovere da un ragionamento, resti scettica e diffidente se lo sente ripetere una seconda volta. Utili elementi, per sapersi regolare, potrebbero essere le esperienze di quelli che hanno tenuto il loro discorso senza successo. Si potrebbe almeno scartare i sistemi da loro adottati. Ma questi "bocciati" non parlano. Inutilmente li supplichiamo di raccontarci che cosa hanno detto, come ha reagito la folla. Sogghignano e non pronunciano sillaba. In galera restero' tutta la vita - si direbbe che pensino - in galera ci dovete restare pure voi; non voglio aiutarvi in alcun modo. Tanto sono carogne. E' fatale pero', nonostante tutti questi misteri, che qualche piccola cosa si sia venuta a sapere. Ma in queste vaghe dicerie non si ritrova alcun elemento utile. Risulta, per esmpio, che, in questi discorsi alla folla, gli ergastolani battano soprattutto su due argomenti: la propria innocenza e gli affetti familiari; cio' che é addirittura ovvio. Ma in che modo hanno svolto il tema? A che linguaggio sono ricorsi? Hanno inveito?, hanno supplicato?, si sono messi a piangere? Nessuno qui dentro lo sa. Ma la prospettiva più scoraggiante è la folla stessa dei concittadini. Noi saremo magari dei pendagli da forca. Quelli, là fuori, gli uomini e le donne libere, non scherzano, pero'. All'annuncio che un ergastolano parlerà dal balcone, accorrono nella piazza non già con l'animo di chi dovrà esprimere un grave giudizio da cui dipende l'esistenza di un uomo; vengono unicamente per divertirsi, come andassero a una fiera. E il pubblico non é fatto soltanto dalla schiuma dei bassifondi; ci sono anche molte persone di specchiata moralità, funzionari, professionisti, operai accompagnati dall'intera famiglia. Il loro atteggiamento non é tuttavia di comprensione, se non di commiserazione e di pietà. Anch'essi sono là per spasso. Già noi, con le casacche a strisce, con la testa rapata a metà, siamo, a vedersi, quanto di più abbietto e grottesco si possa concepire. Lo sciagurato che compare sul balcone non trova ad attenderlo - come si potrebbe pensare - un rispettoso e intimidito silenzio; bensi' fischi, lazzi osceni, scrosci di risate. Ora, che puo' fare un uomo, già emozionato e tremante, di fronte a una simile platea? E' un'impresa disperata. Di più: in termini di leggenda si narra che in passato qualche ergastolano sia riuscito a vincere la prova. Ma sono voci molto incerte. Sicuro è che da nove anni a questa parte, da quando cioè io mi trovo imprigionato, nessuno ce l'ha fatta. Circa una volta al mese, da allora, uno di noi si è affacciato al balcone per parlare. Tutti, poco dopo, sono stati riportati in cella. La folla li aveva selvaggiamente fischiati. Ora mi annunciano, i guardiani, che il turno tocca a me. Sono le due del pomeriggio. Fra due ore dovro' presentarmi alla folla. Ma io non tremo. So già, parola per parola, cio' che mi conviene dire. Il terribile quiz credo di averlo risolto. Ho meditato a lungo: nove anni, pensate, di ininterrotta meditazione. Nè mi illudo di trovare un pubblico meno malvagio di quello che ha ascoltato i miei compagni sconfitti. Aprono la porta di ferro della cella, mi fanno attraversare l'intero blocco del penitenziario, mi fanno salire due rampe di scale, entrare in una sala dignitosa, uscire infine sul balcone. Dientro di me si sprangano le imposte. Sono solo, di fronte alla folla. Non riuscivo a tenere aperti gli occhi, tanta era la luce. Poi vidi i giudici supremi. Saranno state almeno tremila persone che mi fissavano avidamente. Poi un lungo sibilo, estremamente plebeo, apri' la salva obbrobbiosa. La vista del mio volto sparuto e sconvolto dalle afflizioni destava uno straordinario godimento, a giudicare dalle risate, dalle provocazioni, dagli sberleffi. "Ve', il gentiluomo! Parla l'innocente! C'è la mammina che ti aspetta, vero? E i bambini, ti piacerebbe riverderli i tuoi bambini?". Appoggiato con le mani alla balaustra, io stavo impietrito. Scorsi, proprio sotto il balcone, una ragazza che mi parve bellissima; con le due mani discosto' i lembi della generosa scollatura affichè io potessi vedere bene. "ti piaccio, bel signorino," urlava. "Ci avresti gusto, eh?" E poi giù a sghignazzare. Ma io avevo bene in mente il piano, il solo che forse mi avrebbe salvato. Non mi lasciai smuovere, tenni duro, non li invitai a tecere, non feci cenno di sorta. E ben presto mi accorsi, con indicibile conforto, che il mio contegno li stupiva. Evidentemente i compagni che mi avevano preceduto sul balcone avevano adottato un'altra tattica, forse reagendo, alzando la voce, supplicando il silenzio; e cosi' si erano rovinati. Restando io fermo e muto come una statua, l'ignobile gazzarra a poco a poco si quieto'. Sibilarono ancora quà e là alcuni fischi, poi si fece silenzio. Niente. Facendo una terribile forza su me stesso, io tacqui ancora. Finalmente una voce, abbastanza civile e sincera: "Parla, parla dunque. Ti ascoltiamo". E finalmente mi decisi. Speditecelo e lo pubblicheremo |